Contraddizione della Suprema Corte per la tassazione nell'IRPF degli interessi di mora a favore del contribuente Notizie Legali

Recentemente, la Terza Sezione del Contenzioso-Amministrativo della Suprema Corte (TS), seconda sezione —con sentenza 24/2023 del 12 gennaio 2023 (Rec.2059/2020)—, ha rettificato la dottrina che la stessa Corte aveva stabilito qualcosa di più di due anni prima. Ciò ha causato profonda preoccupazione nello spettro legale. Soprattutto ha generato una serie di dubbi in relazione alla tassazione degli interessi di mora nell'IRPF.

Di fatto, due anni prima, il T.S., nella sentenza del 13 dicembre 2020 (Rec. Cassazione 7763/2019), aveva stabilito che gli interessi di mora versati dall'Agenzia dell'Amministrazione Finanziaria dello Stato (AEAT), in sede di esecuzione di una dichiarazione di reddito indebito, non sono soggetti all'imposta sul reddito delle persone fisiche. Questo perché "ogni volta che si restituiscono al contribuente alcuni soggetti indebitamente sostenuti dal contribuente, risarcendo, non si ha tale plusvalenza, ma si verifica un riequilibrio, annullando la perdita subita prima".

In detta sentenza del 2020 vi era un'opinione dissenziente formulata —curiosamente— dallo stesso magistrato che ora è stato relatore di quest'ultima sentenza del gennaio 2023, che ha provocato lo sbalzo interpretativo rispetto a quello che si era costituito. Ha ritenuto che "gli interessi di mora passivi, a favore dei contribuenti, costituiscono plusvalenze che concorrono alla rendita generale dell'IRPEF".

Il criterio seguito dalla Camera, quando si tratta di approvare a maggioranza la sentenza di quest'ultima Sentenza, è quello ai sensi della Legge 35/2006 sull'imposta sui redditi delle persone fisiche (LIRPF):

  • Gli interessi di mora costituiscono reddito.
  • Non esiste uno standard legale che dichiari i conti interessati non soggetti o esenti dall'imposta sul reddito delle persone fisiche.
  • Costituiscono una plusvalenza che deve essere inclusa nella parte generale della base imponibile delle persone fisiche e non nel risparmio, in quanto non costituiscono reddito da capitale mobiliare, né sarà prodotto dal trasferimento di un elemento patrimoniale.
  • Si noti che quest'ultima sentenza, del gennaio 2023, ha a sua volta due voti individuali contrari. Vengono ad evidenziare che la dottrina corretta è quella stabilita nella sentenza del 3 dicembre 2020. Conseguentemente, difendono il mancato assoggettamento degli interessi di mora a favore dei contribuenti e argomentano il loro mantenimento di criteri fondati su varie ragioni.

    Questo cambiamento dottrinale presuppone un attacco con conseguenze perniciose alla certezza del diritto. Il messaggio che viene effuso è devastante, con l'esistenza di pronunce radicalmente opposte e chiuse nel tempo dallo stesso tribunale.

    «Questo cambiamento dottrinale presuppone un attacco con conseguenze perniciose alla certezza del diritto. Il messaggio che viene effuso è devastante, con l'esistenza di pronunciamenti radicalmente opposti»

    Il riconoscimento delle indennità, invece, da parte di un'Amministrazione Finanziaria, cerca di ristabilire un equilibrio patrimoniale che in precedenza aveva rotto l'azione amministrativa stessa. Per tale motivo, l'azione dell'ente pubblico sanatoria del danno cagionato, non può essere imputata come entrata nell'Irpef.

    In sintesi, gli articoli della LIRPF, ai quali la sentenza allude e fonda il suo fondamento (artt. 34 e 37 LIRPF), trattano sobriamente della quantificazione della plusvalenza per il suo “valore di mercato”. Ciò si è rivelato del tutto inadeguato quando si tratta di riferirsi agli interessati del ritardo, che sono fissi e legalmente stabiliti.

    Data la disparità di criteri inconciliabili lanciati da queste due sentenze dell'Alta Corte, è necessario che —non molto tempo dopo— si pronunci nuovamente per stabilire definitivamente la giurisprudenza. Una terza sentenza sarebbe importante per risolvere questa assoluta incoerenza e per tornare sul canale della certezza del diritto.

    In base a criteri puramente logici, la restituzione del reddito indebito ha natura restitutoria e non meramente risarcitoria. Naturalmente, tale pagamento non può essere considerato in alcun modo come un aumento della capacità economica del contribuente. Questo principio di capacità economica, incluso nell'articolo 31 della Costituzione spagnola e quello inferiore in sostanza all'intero sistema fiscale spagnolo.

    In realtà, il contribuente obbligato lo rimborserà se non soddisfa l'udienza pubblica, ma quel reddito è in definitiva contrario alla Legge.

    Auspico che la Suprema Corte chiarisca presto la manifesta incoerenza per il bene di tutti i contribuenti, nonché per il bene della certezza del diritto di cui all'articolo 9.3 della nostra Costituzione. Messaggi come questo, sotto forma di frase, l'unica cosa che provocano è aumentare la sfiducia degli investitori, oltre a danneggiare l'ambiente economico e il benessere. Il tempo lo dirà.