Un messaggio WhatsApp a un collega sulla volontà di partire non costituisce ritiro volontario Legal News

La Corte Superiore di Giustizia della Catalogna ha disposto la reintegrazione di una lavoratrice che è stata licenziata per essersi sentita su WhatsApp con un altro collega, voleva lasciare l'azienda a causa del cattivo clima che c'era. I magistrati ritenendo che tali colloqui non costituiscano una chiara ed inequivocabile manifestazione di cagionizzazione volontaria.

Va ricordato che la riduzione di un lavoratore deve basarsi su un'espressione di volontà conclusiva e inequivocabile. Non è così, poiché secondo i magistrati non si può concludere che ciò sia avvenuto solo a causa di conversazioni avute con un collega tramite WhatsApp in cui la lavoratrice ha spiegato di voler lasciare l'azienda a causa del cattivo clima in sede di lavoro perché, pesa questa espressione, non trovando che la sentenza estinta sia stata comunicata al datore di lavoro.

Infatti, lo stesso giorno dell'invio dei messaggi WhatsApp, la lavoratrice ha iniziato un congedo per inabilità temporanea derivata da un ansioso processo di adattamento che stava ancora proseguendo quando è stata informata dall'ufficio burofax del presunto congedo volontario dal lavoro che era stato effettuato da lei sollecitata E sempre quello stesso giorno il compagno dell'operaio ha preso il congedo in azienda insieme alle chiavi del negozio, venendo rifiutato dal datore di lavoro, per cui ha dovuto portarlo all'agenzia dell'azienda, dove ha lavorato per più La moglie dell'imprenditore è stata 15 anni, e lei rilevava che stava presentando una denuncia di congedo medico datata il giorno successivo e, avvertito dell'errore, chiedeva la modifica del CAP, che veniva subito rettificato e quello corretto consegnato all'agenzia.

Tali procedure evidenziano che non vi era una chiara e conclusiva volontà della lavoratrice di provocare l'astensione volontaria, manifestata direttamente ed inequivocabilmente al datore di lavoro, pertanto la decisione adottata dal datore di lavoro di elaborare l'astensione volontaria della lavoratrice costituisce un licenziamento che per non Se la causa invocata è certo, diventa imprevedibile.

Esiste abbondante dottrina della Suprema Corte secondo cui, pur ammettendo anche le dimissioni tacite, in tutti i casi si richiede che le dimissioni del lavoratore, quale volontà unilaterale di risolvere il vincolo contrattuale che lo lega al proprio datore di lavoro, siano chiare, precise , consapevole, fermo e finale, rivelando il suo scopo; E affermare per fatti conclusivi, cioè che non lasciano spazio a ragionevoli dubbi sulla sua intenzione e portata.

Pertanto, la Corte ha confermato la sentenza del Primo Tribunale Sociale che ha dichiarato inammissibile il licenziamento e, conseguentemente, ha ordinato alla società di reintegrare il lavoratore nelle stesse condizioni che prevalevano prima di distruggere il licenziamento, nonché il pagamento delle retribuzioni di lavorazione di cui all'art. comma 2 dell'art. 56 ET, ovvero, a sua scelta, di sottoscrivere un'indennità di euro 13.755,88.